Dall’attività fisica amatoriale sino all’agonismo, lo sport costituisce un elemento importante non solo dal punto di vista fisiologico, ma anche dal punto di vista psichico.
Oggi ancora più di un tempo, infatti, l’attività sportiva rappresenta uno stimolo alla crescita della persona nel senso più ampio del termine: costruisce e rafforza la muscolatura e la struttura ossea, perfeziona la coordinazione dei movimenti, potenzia le doti individuali e – non meno importante – facilita il costruttivo confronto con gli altri.
Basti pensare a ciò che la vita sportiva comporta: il superamento degli ostacoli, il rispetto delle regole, la collaborazione con i compagni di squadra, i sacrifici in vista di obiettivi superiori – come la rinuncia a un’uscita serale con gli amici o a un pasto abbondante – per essere in perfetta forma durante gli allenamenti o la competizione.
In questa prospettiva lo sport rappresenta una palestra importante per l’educazione del singolo e della comunità, contribuendo allo sviluppo di un Io più saldo e sicuro di sé.
Tuttavia l’impegno, la volontà e la costanza nell’allenamento – ingredienti fondamentali per una buona prestazione sportiva – molte volte non bastano: anche la capacità di concentrazione riveste un ruolo decisivo in molte discipline, soprattutto negli sport di precisione e in contesti altamente competitivi. In queste situazioni concentrazione e autocontrollo possono determinare la vittoria; deconcentrazione e ansia da prestazione, invece, impediscono di dare il meglio di sé.
Tali dinamiche sono state oggetto di studi scientifici dalle Olimpiadi di Roma del 1960, momento in cui è nato l’interesse specifico del mondo sportivo per il Training Autogeno di I.H. Schultz.
Lo studio ha dimostrato che atleti con una maggior stabilità emotiva – ottenuta tramite l’uso di tecniche di assistenza psicologica – producono movimenti più armonici, godendo di una migliore coordinazione e prestazione sportiva; inoltre, risultano meno soggetti a lesioni rispetto alle persone tendenzialmente tese.
Stati d’ansia, forte competitività o insicurezza sembrano infatti giustificare l’aumento della tensione muscolare, la riduzione del campo visivo e l’incremento della distrazione, che rappresentano le prime cause di insuccesso e infortuni.
In Italia la prima applicazione del Training Autogeno in ambito sportivo risale ai campionati mondiali di St. Moritz del ’73. Mario Cotelli, responsabile della Valanga Azzurra, in tale occasione contattò il Prof. L. Peresson per aiutare Pierino Gros. L’atleta dello sci azzurro prima di ogni discesa veniva preso dall’ansia e dall’emotività, che gli impedivano di poter esprimere le sue doti di grande slalomista. Con l’utilizzo del Training Autogeno in breve tempo l’atleta superò completamente l’ansia, gli ostacoli emotivi e l’insonnia per le tensioni prima della gara e diventò campione del mondo.
Nel calcio la validità della tecnica venne invece sperimentata dall’allenatore Pippo Marchioro con la squadra del Cesena, che venne promossa in serie A nel campionato ’76-’77.
Oggi in Europa, America e Asia, il Training Autogeno è entrato a far parte della preparazione atletica di diverse discipline sportive, agonistiche e amatoriali, dalla corsa al ciclismo, nel nuoto, salto in alto, sollevamento pesi, pallavolo, basket, fino alle arti marziali.
Tutte queste esperienze sostengono i favorevoli effetti della tecnica, nei termini non solo di un miglioramento della prestazione sportiva – grazie alla maggiore concentrazione e alla scarica delle tensioni – ma anche di una maggior resistenza fisica, un più rapido recupero delle energie – specie fra un tempo e l’altro di gara – e un miglior affiatamento con i compagni di squadra.
Mediante l’apprendimento di una tecnica di rilassamento come il Training Autogeno, infatti, l’atleta: impara ad abbassare l’ansia e a controllarne i primi sintomi (tachicardia e alterazione del ritmo respiratorio), impara a prevenire le contratture e la tensione generale (riducendo il rischio di infortuni), impara a migliorare la concentrazione (necessaria per ben misurare le distanze in campo e coordinare i movimenti con i compagni), impara a essere più obiettivo e prendere decisioni rapide nella situazione di gara.
In generale la persona impara ad avere maggior sicurezza in sé, a credere di “potercela fare”, ed è questo ciò che conta: spesso non è una preparazione atletica malcondotta a determinare la vittoria o la sconfitta, ma l’ansia, l’insicurezza, la tensione.
Una competizione sportiva richiede una buona dose di calma, tranquillità e distacco emotivo dalle situazioni di gara. Il Training Autogeno fa raggiungere questi risultati.
Solo con un’attenzione all’aspetto psicologico dell’attività sportiva, oltreché fisico, è possibile potenziare le qualità e le doti personali di ogni atleta, a qualsiasi livello, e far sì che possa vivere pienamente le soddisfazioni, gli insegnamenti e il benessere che lo sport porta con sé.
Articolo pubblicato sulla rivista specialistica LIBERTAS VENETO